mercoledì, 12 marzo 2025

 

Bartolo Longo, santo del Pane e del Vangelo

di don Ivan Cavaliere
Cancelliere Vescovile

 

Come uno dei nostri adolescenti…

Mi piace pensare che quel 10 febbraio 1841, giorno della nascita di Bartolo a Latiano (Br), la famiglia, ed in particolare la mamma Antonia, avessero messo sin da subito la vita di quel pargoletto sotto la tutela materna della Madonna. Come fanno ancora tante mamme prima e dopo il parto. Sicuramente anche per l’imminente nascita di Bartolo l’arciprete aveva fatto suonare i nove rintocchi di campana, come si è usato a Latiano fino agli anni ’60 del secolo scorso, per avvisare i latianesi della nascita di un nuovo piccolo cittadino! Si può sicuramente affermare che mamma Antonia e papà Bartolomeo si siano affidati, come oggi si fa ancora per le giovani partorienti di Latiano, all’intercessione dei Santa Margherita di Antiochia, protettrice della città.

Usanze di paese e devozioni di famiglia che, come un passaggio di testimone, si trasmettono ai figli. Il segno di croce, le prime preghiere come il “Padre nostro” e l’“Ave Maria”, mano nella mano per andare nella Collegiata di Santa Maria della Neve sotto la guida di Don Giuseppe Anzillotti prima e Don Bartolomeo D’Angelo poi. La frequentazione della Chiesa del Santissimo Rosario, a pochi passi dal Palazzo Longo. La conoscenza del culto della Madonna di Cotrino nella piccola chiesetta in Contrada Cappella, l’amore al Santissimo Crocifisso Redentore di cui anche Bartolo aveva imparato la legenda aurea del ritrovamento miracoloso accaduto molto prima della sua nascita. Di famiglia agiata, Bartolo ha imparato a leggere e scrivere in casa propria. Ma anche lui, come tanti altri bambini di Latiano, ha imparato i luoghi cardine del suo piccolo paesino (all’epoca Latiano contava meno di quattromila anime): la Piazza Vecchia (attuale piazza Capitano d’Ippolito accanto alla Chiesa Madre) distinguendola da Piazza Nuova (attuale piazza Umberto I); anche lui avrà imparato ad indicare la zona “sotta allù canàli” prima “ti la chiantàta” che sanciva la fine dell’agglomerato urbano. Si sarà ritrovato a passare col calesse di famiglia “ti la strata ti l’erva” per raggiungere qualche volta i parenti materni a Mesagne. Mi piace immaginare “Bartolino” che sapeva parlare correttamente la lingua italiana dell’epoca senza, però, disconoscere il dialetto “capuverdi” del suo paesino. Mi affascina pensare che Bartolo, come oggi tanti latianesi, abbia visto e, incuriosito, abbia chiesto al papà cosa fosse la Torre del Solise, il Palazzo Imperiali, l’Abbazia Domenicana vicino casa sua. Lo immagino entrare nelle chiese di Latiano per onorare la Vergine Maria sotto i vari titoli (a Latiano, al tempo di Bartolo, c’erano ben sei chiese dedicate al culto mariano… già questo dice molto sul Bartolo pompeiano). Da latianese come lui, anch’io – provenendo dalla stessa Collegiata – molte volte ho chiuso gli occhi immaginandolo fermarsi davanti agli altari, alcuni dei quali poi rifatti sotto sua elargizione personale. E dire a me stesso: “un Santo è nato qui, è cresciuto qui, qui c’è stato, da qui è partito tutto!”. Bartolo è stato un bambino e adolescente latianese come tanti nostri ragazzi. Peraltro a Bartolo non sarà risparmiata una delle prove più difficili per un bambino: la perdita del papà, che chiederà alla sua tenera esistenza di anticipare il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, venendo su come uomo con certezze proprie e orizzonti ben delineati. Di spiccate capacità intellettive, brillante e vivace al tempo stesso, Bartolo darà buone soddisfazioni scolastiche alla sua mamma rimasta vedova che intanto, per assicurare un adeguato iter scolastico al figlioletto, lo indirizzerà al Real Collegio Ferdinandeo di Francavilla Fontana, dove oggi sorge l’istituto scolastico “V. Bilotta”, sotto la guida dei Padri Scolopi.

 

…che a volte si perdono ma poi, grazie agli amici, ritrovano la retta via!

 Come può capitare nella vita di ciascuno, in quella di Bartolo succede di tutto e di più. L’iniziale fervore di fede e disciplina acquisito negli anni latianesi, in quel contesto così semplice e bello, fatto di amore e di cose sante, pian piano, per via di tante infelici vicissitudini, si va affievolendo. Siamo in un periodo storico molto delicato. L’Italia si va costruendo e delineando come un’unica realtà nazionale. Rivoluzioni, sommosse, proteste. Tante correnti filosofiche, tra cui il neopositivismo, mettono in discussione tutto quanto potesse avere a che fare non solo con il soprannaturale ma anche con quanto, fino a quel momento, era potere costituito. Si andavano formando correnti di pensiero nuove sul piano politico e istituzionale. La Chiesa, all’epoca sotto la guida del Beato Papa Pio IX, era da più parti attaccata. Non di meno erano gli ambienti accademici come Napoli ad esempio dove, tra molti intellettuali, c’era chi apertamente abbracciava la massoneria e l’anticlericalismo radicale. Così che Bartolo, in virtù della Legge Casati entrata in vigore nel 1861, si dovette trasferire proprio a Napoli per completare i suoi studi in giurisprudenza. Lì entrò a contatto con alcuni professori apertamente anticattolici come Augusto Vera, Bertrando Spaventa e Luigi Settembrini. Le loro lezioni erano improntate al positivismo dominante e quindi alla negazione del soprannaturale. Così scorrevano quelle giornate universitarie, contornate dagli svaghi giovanili come la scherma e il ballo. Molte volte, insieme agli amici dell’università, Bartolo si concedeva lunghe passeggiate nelle zone del napoletano dove, curioso, ascoltava le loro idee così pregne di quanto s’imparava dinanzi alle cattedre positiviste. Il giovane Longo, infine, si avvicinò anche a un gruppo spiritista e satanista, un culto che in quel tempo era molto diffuso nel napoletano, e divenne per circa un anno e mezzo un “sacerdote” satanista. Inizia il periodo buio della sua vita. Quel germe battesimale ricevuto da piccolino nella Chiesa Madre della lontana Latiano, sembrava soffocato dalla certezza che non ci fosse nessun Dio, se non la “dea casualità”; che la Chiesa, che lui aveva imparato ad amare da piccolo e della quale si sentiva membro, era una mera istituzione umana votata alla scomparsa definitiva. Che dire del Papa? Da documenti storici si è appreso che in quegli anni, proprio a Napoli, si progettavano veri e propri attentanti contro la persona del Papa e i soggetti appartenenti all’Ordine del Predicatori (Domenicani). Un “ragazzo perso” avranno detto in molti, apprendendo notizie spiacevoli sul suo conto. E non c’era da meravigliarsi, dato che persino il suo aspetto fisico, secondo le testimonianze apprese, era diventato emaciato e provato dalle estenuanti pratiche che quella sciagurata setta imponeva a quel giovane non più cattolico. Così, come altri suoi contemporanei, Bartolo cominciò a frequentare alcune riunioni dove si raccontava che si riuscisse a colloquiare con gli spiriti dei defunti. Era animato da una certa curiosità, ma anche dalla ricerca di qualcosa che placasse la sua angoscia intima. Per cinque anni fu un partecipante a questi circoli ma, nonostante fosse riuscito a laurearsi il 12 dicembre 1864, non riusciva a sentirsi in pace. Fece ritorno nella sua Latiano, pieno di solitudine, abbandono e in preda ad una forte depressione psicofisica. Fu proprio un altro latianese, il Prof. Vincenzo Pepe, a stargli accanto e, mandato da Dio, a scuoterlo severamente per risvegliare in lui la sete della carità cristiana. Così il Pepe lo indirizzò al Padre Domenicano Alberto Radente che, instaurando con Bartolo un serio cammino spirituale, lo guidò verso la riscoperta di quel germe di grazia e di vita eterna ricevuto con il santo battesimo. Fu in questo periodo che Bartolo, ritornato intanto a Napoli, fu affascinato dalla carità verso i poveri esercitata da Caterina Volpicelli, che sarà poi canonizzata. Data memorabile quella del 23 giugno 1865: Festa del Sacro Cuore di Gesù, alla cui tutela fu proprio la Volpicelli che mise il giovane avvocato latianese, Bartolo ritorna, dopo anni di “empietà e morta fede”, a ricevere la Santissima Eucarestia. L’amore – come scriverà un giorno San Giovanni Paolo II – ha spiegato tutto (K. Wojtyla, Tutte le opere letterarie, con testo polacco a fronte, saggi introduttivi di B. Taborski, presentazione di G. Reale, Milano 2001).

 

Bartolo e la preoccupazione di un Vangelo dal sapore del pane…

La vita di Bartolo non è stato il paradigma di chi ha costruito una fede sazia, ma di una fede che ha imparato ad essere sale della terra, luce del mondo, lievito nella massa. L’euforia del neoconvertito, come dovrebbe essere, non si è ingozzata di pie pratiche che rintanano i devoti nelle sagrestie con conseguenti scelte azzardate e inadatte. Si lascia guidare dallo Spirito Santo attraverso la persona di Padre Emanuele Ribera, redentorista. Bartolo non era per entrare in seminario. Non era nemmeno per il matrimonio. Doveva prima di tutto riscoprirsi figlio di Dio, figlio di Santa Madre Chiesa. Doveva riappropriarsi della vera immagine del Dio di Gesù Cristo. E doveva iniziare da una grande missione. Perché solo lo Spirito Santo è capace di investire sul capitale umano, anche quando questo perde ogni speranza di riscatto. Prima Vincenzo Pepe, poi Caterina Volpicelli. Prima Padre Radente, poi Marianna Farnararo. Quest’ultima era amica di Caterina Volpicelli e, negli anni in cui Bartolo apprendeva alla scuola della carità napoletana di quella santa donna, in seguito ad un suo bisogno logistico, fu scelto dalla vedova Farnararo per gestire i beni del defunto marito. Possedimenti presenti in Valle di Pompei. Ecco il nome della città coperta non solo dalla cenere dell’eruzione del 79 d.C. ma anche dalla povertà umana, sociale e spirituale e da una fitta coltre di abbandono e desolazione. Qui Bartolo, sospinto dallo Spirito Santo e da un forte amore alla Madre di Dio, si sarebbe preoccupato di dare pane e vangelo, cibo e fede, nutrire bisogni e alimentare speranze. Non un vescovo, non un prete, non una religiosa. Un laico. Un laico credente, concreto, piccolo seme nella storia dell’umanità. Un avvocato santo dal popolo e del popolo. E da una valle desolata, di miseria e di idoli, Pompei comincia a rinascere dalle macerie e, intorno all’avvocato latianese Bartolo Longo, diviene la città dei poveri, degli orfani, dei figli dei carcerati. La città di Maria, della Madonna del Rosario. Chi sa quante volte Bartolo, tornando a Latiano (lo farà più volte fino a pochi mesi prima della morte), aveva rivolto un pensiero di filiale devozione a quella preghiera imparata a casa, pregata nella Chiesa Madre di Santa Maria della Neve, nella chiesa del Santissimo Rosario dinanzi alla sacra immagine in trespolo ancora oggi venerata. Così i ritorni a Latiano diventavano un tempo di grazia e di ricarica affettiva e spirituale. Rapporti con i sacerdoti del paese natio, colloqui spirituali con una donna latianese di indiscusso odore di santità: Crocifissa Capodieci che ogni anno, durante la Settimana santa, riceveva sul corpo i segni della passione ed aveva visioni mistiche. Essa stessa, il giorno della sua morte, fu per Bartolo pegno di protezione; infatti, mentre la Capodieci spirava, Bartolo uscì illeso da un incidente sul cantiere dell’erigendo Santuario di Pompei. Ma i ritorni a Latiano erano tempo per nutrire profondamente la fede nei luoghi che ne avevano segnato l’inizio. E se è vero, come è vero, che l’infanzia segna per sempre il carattere di una persona, così avvenne anche per Bartolo. Quei luoghi legati alla sua fanciullezza ogni volta diventavano un’oasi di grazia, un tempo di riconciliazione con la sua storia, una ripartenza per compiere opere grandi lì dove la Madonna lo aveva chiamato ad essere “apostolo del Rosario”. Latiano sarà anche il luogo della sua consolazione allorquando, nel 1924, in seguito alle avversioni ricevute in maniera ripetuta dai parenti dell’ormai defunta contessa Farnararo per questioni legate all’eredità, decide di tornarsene nel suo paese natio per godere dell’affetto e della consolazione della sua gente che lo aveva visto nascere e crescere. Ci rimarrà per ben quattordici mesi; saranno poi i pompeiani ad implorare il suo ritorno. Bartolo era per tutti un padre e i figli della nuova Pompei non potevano rimanere senza il loro fondatore, l’araldo della Madonna del Rosario, colui che li aveva aiutati ad essere uomini, cristiani e cittadini. Era l’epoca dei santi cosiddetti “sociali”: San Giovanni Bosco, San Giuseppe Cafasso, Santa Caterina Volpicelli, San Ludovico da Casoria, Sant’Annibale Maria di Francia, San Giuseppe Moscati ecc. gli ultimi quattro di questa lista appena approssimata hanno avuto contatti con il Longo e lo hanno sostenuto nel suo apostolato laico a servizio della Chiesa. Lo stesso San Giuseppe Moscati andrà a fagli visita proprio il 5 ottobre 1926, giorno della nascita al cielo di Bartolo. Lo visiterà lui stesso, confermando che la fiammella terrena di quel grande uomo della Puglia si andava spegnendo per riaccendersi nella gioia del paradiso. Tutti, Bartolo compreso, sapevano bene che il pane impastato dalle sole braccia umane rimaneva segno per pochi, cibo per qualcuno. Ma impastato con la forza del Vangelo diventava cibo per tutti, sostegno per piccoli e grandi. A chi gli sottolineava l’inopportunità di accogliere chiunque nei suoi istituti, Bartolo Longo rispondeva: “Non chiedo chi sono e da dove vengono: davanti alla Madre del S. Rosario sono tutti figli”. Così quanto faceva a Pompei ripeteva in egual misura nella sua Latiano: aiuto alle famiglie bisognose, medicinali gratuiti ai contadini, apertura di un asilo con le sue elargizioni personali, il restauro della Chiesa Madre e della chiesa della Greca con annesso ospizio. La donazione dell’organo a canne della Chiesa Madre insieme con l’altare, la balaustra e le acquasantiere, nonché le pale degli altari dedicati alla Madonna del Rosario e a San Giuseppe Agonizzante. La donazione di una campana al Santuario antico di Cotrino a devozione del suo protettore San Bartolomeo. L’interessamento per l’arrivo dei Monaci Cistercensi di Casamari a Cotrino. La pubblicazione di opuscoli di preghiera devozionale circa il culto della Madonna di Cotrino e altri culti presenti a Latiano. Lu “San Giuànni” ai giovanotti di Latiano per la loro cresima. Le istruzioni gratuite ai bambini impartite nel palazzo di famiglia, come le sovvenzioni per le fanciulle povere di Latiano. E c’è tanto e ancora tanto di più di quanto qui brevemente riportato. Nella vita e nella santità del Beato Bartolo Longo il pane del Vangelo non conosce confini. È un pane fresco per il futuro dell’opera pompeiana; è un pane che mai diventerà raffermo per quanto fatto a Latiano.

 

…un pane fresco per la Chiesa di oggi.

Cosa dice oggi a noi la vita di San Bartolo Longo (affettivamente)? Anzitutto ci richiama alla radicalità evangelica. È la parola di Dio che semina abbondantemente, con la grazia dello Spirito, semi di una speranza che sa guardare oltre la logica umana. Una speranza che, sapendo dare ragione di essa stessa, si concretizza in carità operosa, lungimirante, senza frontiere. Questo irrobustisce la fede e permette ad ogni credente di fare esperienza della stessa carità di Cristo. Mi piace, in questo contesto dove ho usato l’immagine del pane, riprendere quanto Papa Francesco ha detto a Matera a conclusione del Congresso Eucaristico Nazionale il 25 settembre 2022: “Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore. È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza, banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: «Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» (Lc 16,26). Ma l’hai fissato tu: tu stesso. Siamo noi, quando nell’egoismo fissiamo degli abissi. Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane. Perché il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli e le sorelle –, ci “scaviamo la fossa” per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”. Ciò che Bartolo pregava intorno all’altare o dinanzi alle immagini della Beata Vergine Maria, diventava sfida per accorciare il divario tra alcuni ricchi della storia e i tantissimi poveri del Vangelo. Quanto ascoltava dalla Parola di Dio e meditava nel suo animo, si trasformava in pezzo di regno dei cieli in mezzo al regno della disperazione. Bartolo Longo con la sua bellissima testimonianza, il suo eroico impegno evangelico e la sua totale dedizione a Dio e alla Madonna, è pane fresco non solo per Pompei, ma anche per Latiano, per tutta la Diocesi di Oria che si vanta di avere un così illustre e santo figlio. La Canonizzazione, ormai prossima, non è uno scatto di livello (la Chiesa non cade in questo stile!), ma è il riconoscimento di una santità che ha affascinato chiunque in tutto il mondo. Bartolo non è più il Beato che, nel 1980 (anno della sua beatificazione) San Giovanni Paolo II indicò come modello alla porzione della Chiesa pompeiana. Dopo quarantacinque anni Santa Madre Chiesa in lui ora vede il Santo per tutta la cristianità, per ogni uomo e ogni donna che cercano Dio e che lo amano con tutto il cuore. Bartolo è il nostro Santo, tutto è partito da qui, dalla nostra Chiesa diocesana! Che bello! E noi diciamo grazie a Pompei per essere stata custode della vita buona di questo Santo latianese. Ora tocca a noi della Diocesi di Oria conoscere molto più quanto egli ha fatto, ha scritto, ha detto. Non solo i luoghi bartoliani presenti a Latiano, che pure vanno riscoperti, ma soprattutto il suo carisma di carità dinamica. Auspico che sui cartelli che sono posti all’entrata della città di Latiano non soltanto si metta “Città di San Bartolo Longo”, ma che si scriva anche “Santo della carità evangelica, del riscatto sociale e dell’amore alla Madonna”. In fin dei conti la storia ci insegna che l’umanità non ha bisogno solo di uomini illustri ma anche di uomini santi. E Bartolo è stato un illustre uomo santo!

Se non ci fosse stata Latiano, non ci sarebbe stata la nuova Pompei. In questi due fuochi di una stessa ellissi ora brilla la santità di Dio nella vita di Bartolo Longo. Lasciamoci illuminare da questo grande mistero così che la luce della fede infiammi i nostri passi verso una nuova primavera dello Spirito. E potremo presto dire: San Bartolo Longo, prega per noi!