di Mattia Piccoli
consigliere ACR – Azione Cattolica diocesana di Oria
Numerosa la partecipazione al secondo appuntamento tenutosi domenica 16 febbraio presso la parrocchia San Lorenzo da Brindisi in Ceglie Messapica, dal titolo “Caporalato e lavoro dignitoso”.
Appuntamento pensato dall’Azione Cattolica diocesana e promosso in collaborazione con l’Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro e l’Unione Giuristi Cattolici Italiani, sez. di Oria, che si inserisce in un percorso sul tema “la bellezza della comunità”, per aiutare a riflettere e comprendere su alcune tematiche e problematiche presenti nella nostra società.
A questo appuntamento, moderato dall’avv. Anna Maria Bellanova, sono intervenuti tre ospiti che, attraverso la loro esperienza e il loro impegno nella società, hanno aiutato i presenti ad entrare nel tema.
Il primo a prendere la parola è stato Angelo Leo, coautore del libro “Vite bruciate di terra”. Egli, impegnato in prima linea a contrastare questo fenomeno, ci ha raccontato le origini e alcuni episodi principali. Nel suo libro definisce il caporalato come collocatore e autotrasportatore di “merce umana”; esso appare sulla scena del mercato del lavoro agricolo meridionale agli inizi degli anni Sessanta. Il caporalato è una forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera. Il fenomeno è così detto dalla denominazione gergale degli intermediari, detti appunto caporali, che assumono per breve periodo operai senza rispettare le regole di assunzione e i diritti dei lavoratori. I braccianti maschi erano costretti a svolgere la mansione di potatori sulle piante dei ricchi notabili e le donne quella di raccoglitrici. I salari elargiti ai lavoratori, le così dette giornate, sono notevolmente inferiori rispetto a quelli del tariffario regolamentare e spesso privi di versamento dei contributi previdenziali. Il caporalato è spesso collegato ad organizzazioni mafiose e malavitose. Va anche aggiunto, in relazione alla condizione femminile, che a volte il rapporto della donna con il caporale va oltre il lavoro in agricoltura.
Nel raccontare le pessime condizioni di lavoro, Angelo ha ricordato la triste cronaca accaduta nel maggio del 1980, quando tre ragazze di Ceglie Messapica persero la vita in un incidente stradale. Al tal proposito ci ha raccontato che in un furgone, più di qualche volta senza revisione e controlli, tolti i sedili, venivano trasportati circa 40 braccianti, non curandosi del pericolo e della vita di questi. A tutto questo era impossibile ribellarsi, altrimenti si perdeva anche quel poco che si aveva.
Il secondo relatore della serata, don Giuseppe Venneri, direttore della Caritas della diocesi di Nardò-Gallipoli, ha portato invece la sua esperienza, in questo caso positiva, che riguarda appunto il progetto “Opera Seme”. Si tratta di un progetto di Economia Civile per la promozione e la valorizzazione del lavoro, del territorio e della persona umana. Si parte da ciò che il territorio offre per valorizzarlo, potenziarlo e rileggerlo. Il progetto avvia un vero e proprio processo che, coinvolgendo la realtà cooperativistica sociale, enti pubblici e privati cittadini, investa gli ambiti della produzione, della vendita e della formazione, nella direzione di un vero e proprio cambiamento culturale, verso la conoscenza e il rispetto del territorio. Per fare questo, si è costituita una solida rete di relazioni con diversi produttori locali al fine di promuovere il progetto e i prodotti facenti parte della filiera “Opera Seme”.
Ultimo intervento della serata è stato tenuto da don Alessandro Mayer, direttore della Caritas della Diocesi di Oria. Seguendo la dottrina sociale della chiesa, ha ripreso e racchiuso le due tematiche ascoltate in precedenza. Ha inoltre invitato ad un radicale cambio di mentalità, affinché tutto questo non rimanga solo un qualcosa di cui parlare ma diventi qualcosa di concreto, impegno reale nella società. A tal proposito ha affermato che spesso il problema principale è proprio la mentalità, in quanto, essendo una cosa che non ci riguarda, non ci tocca da vicino come persone o come chiesa ci impedisce di comprenderne l’importanza. Ha raccontato inoltre una piccola testimonianza dei suoi primi giorni di sacerdozio quando una ragazza giovanissima non poteva denunciare gli abusi, per non perdere il “lavoro” insieme alla sua famiglia. Particolare riferimento è stato fatto anche a mons. Armando Franco, vescovo di Oria in quel periodo, che si impegnò personalmente al contrasto di questo fenomeno a sostegno della gente.